Il canto dell’oceano, Il grande mistero di Andrea
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Lascia che la narrazione fiabesca del canto dell’oceano ti porti a scoprire la ricchezza della tua voce
Andrea non cantava per le orecchie, mai; Andrea cantava per i luoghi. Potremmo dire che Andrea non era mai fuori luogo, perché ogni luogo se lo faceva amico creandoli un canto, un canto fatto apposta, per lui o per lei. Per Andrea ogni stanza, che fosse vuota o piena, che fosse grande o minuscola, che fosse un ufficio, un loft, una catapecchia, una macchina, un muro sgretolato, aveva una voce; una voce che Andrea trovava, imitava, intonava e cantava.
A volte, se aveva molto a cui pensare, si divertiva a trovare il canto dei sassi, a ognuno il suo! Ma più di tutti gli piaceva trovare il canto degli alberi, con quel loro timbro caldo e pieno d’armonici.
Così, Andrea sapeva cantare la voce di ogni luogo che abitava intorno a lui, e sapeva che ognuno era diverso, e non si poteva ricorrere a scorciatoie. E quando ormai ebbe donato un canto a ogni cosa intorno a lui, decise di viaggiare: e nuovi spazi, nuovi oggetti, nuova natura, altri lampioni, altre strade; tutto per Andrea era un nuovo canto da ascoltare in quelle cose senza voce, e poterlo cantare fuori, a tutti. A ogni passo, una cosa nuova da cantare, una voce da inventare, senza frasi o parole, solo fonemi e versi, che sono la voce della natura.
Un giorno Andrea, mentre continuava il suo cammino, vide che la natura si stava via via spogliando: presto non c’era più l’erba, erano scomparsi i rivoli d’acqua, e gli alberi si erano fatti meno fitti e floridi, tant’è che Andrea aveva fatto fatica a sentirne la voce sotto la corteccia, per poi cantarla flebile flebile con un timbro fragilissimo.
E presto fu deserto, dove ogni chicco di sabbia aveva una voce al contempo minuscola e appuntita; e ogni tanto la presenza di qualche roccia lo faceva sfogare con un timbro più largo e rauco. Passarono i giorni e le notti, in cui quel paesaggio si ripeteva incessante, finché d’improvviso un suono, mai udito, lo colse alla sprovvista. Ancora però non vedeva nulla, allungò il passo, e il suono crebbe di volume.
Affannatissimo, ma sotto i suoi piedi la sabbia cambiava di sfumatura, finché una linea orizzontale ne segnò il confine, e al suo posto iniziava un nuovo deserto, un deserto vivo: Andrea era giunto all’oceano.
E, a differenza di tutte le cose che aveva cantato finora, l’oceano aveva una voce via, anzi: più d’una, mille voci; scrosciava, ruggiva, cullava, guaiva, e crepitava di suoni spumosi e vitrei. Andrea rimase tutto un giorno e tutta una notte ad ascoltarlo, a prenderne la voce. Il secondo giorno, finalmente, Andrea si sentiva pronto: cantò un canto struggente, di ampie note, dalle più gravi alle più acute, col timbro graffiato, come sporcato dal sale. Ma non era abbastanza, e al mare non piacque.
Il giorno dopo tentò un canto vellutato, dal timbro discreto; ma al mare non piacque neanche quello. Il quarto giorno provò allora un canto fortissimo, col timbro pulito e tonante, a sottolineare la forza delle onde; ma anche questo canto non soddisfò l’oceano, che non aveva solo quella voce, o quella di ieri, o del giorno prima. Ancora per diversi giorni Andrea continuò a provare, a inventare timbri, modulare il suono, per trovare la voce dell’oceano. Ma quest’ultimo non era mai soddisfatto.
Una sera, sfinito, Andrea s’addormentò sulla sabbia senza sapere cosa avrebbe potuto inventarsi domani. Ma il domani parlò prima di lui: a svegliarlo fu un canto soave e dolce. Poco lontano, su uno scoglio vicino la riva stava adagiata una sirena che lo guardava e cantava. Andrea si alzò e le si avvicinò…
La Sirena: Andrea, hai viaggiato in tutto il mondo, hai trovato la voce per ogni cosa e per ogni luogo
Andrea: Ma non trovo la voce dell’oceano
La Sirena: Perché l’oceano ha una e mille voci, che non le puoi prendere tutte insieme, tutte in una volta. Noi sirene cantiamo con l’oceano da tutta la vita, e siamo così tante perché così tanti sono i suoi suoni. L’oceano, Andrea, è come te, e come tutti gli altri esseri umani: fatti di un timbro unico e insostituibile, come un’impronta digitale; ma così tanti suoni vi abitano, così tante sfumature che non si finisce mai di scoprirle. L’oceano non ti risponde perché non può essere ingabbiato, e manda me perché vuole dirti che, dopo aver assaggiato il timbro di tutte le cose che hai conosciuto, ora devi scoprire la tua voce. E allora non smetterai mai di cantarla e scoprirla con la stessa gioiosa irrequietezza con cui ogni giorno l’oceano canta
Un piccolo racconto fiabesco per fare una fuga nell’immaginazione, e soffermarci sull’importanza della grammatica – anche quella elementare – del canto. In questo caso l’invito è a soffermarsi sulla ricchezza della propria voce, troppo spesso chiusa in vincoli e vicoli ciechi, in muri espressivi; ed è come guardare coi paraocchi: si perdono sfumature d’un organo così intimo e unico. La ricchezza del nostro timbro è una forza da sperimentare; un arto da non lasciare sopito, ma da far germogliare.
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